Quando propongo delle scritture di personaggi famosi senza rivelarne l’autore e poi chiedo ‒ che impressione vi dà? ‒ la reazione dei presenti è sempre molto partecipativa.
La grafologia incuriosisce e attrae perché intimamente sappiamo che la scrittura rivela degli aspetti di noi. E perché qualcosa in noi sa intuire il linguaggio analogico che la scrittura, come ogni movimento, esprime.
C’è una relazione diretta tra il modo di scrivere e il mondo interiore, tra ciò che vedono gli altri e la parte più profonda di noi. Se sono una persona impaziente la mia grafia non potrà essere calma, se sono riservato non avrò un tracciato esuberante, e questo lo capiamo intuitivamente.
Succede perché in noi agisce l’analogia, ossia stiamo riconoscendo nei segni tracciati sulla carta una somiglianza con un modo di essere. La scrittura infatti è un movimento espressivo che nasce dall’interno e si colora di tutte le nostre sfumature.
Quando la scrittura diventa espressiva?
Quando non siamo più concentrati sul tracciato delle lettere ma su ciò che vogliamo comunicare, è allora che la mano lascia emergere le tendenze spontanee della nostra interiorità.
Ed è allora che la scrittura diventa il nostro ritratto inconscio.

IL RITRATTO DELL’ANIMA
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